La mia Terra di Mezzo

Tra un fonendo ed una tazza, scorre la mia Terra di Mezzo, il mio presente.....Le porte? Si possono aprire, spalancare sul mondo, ma si possono anche chiudere, per custodire preziosi silenzi e recondite preghiere....





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venerdì 29 maggio 2015

Gilbert Keith Chesterton (1874-1936)

Il grande scrittore cattolico Gilbert Keith Chesterton nasce a Londra il 29 maggio 1874. Nato da famiglia borghese di confessione anglicana nel 1922 si converte al cattolicesimo. Dotato di grande spirito profetico, parla ancora oggi a noi con i suoi innumerevoli scritti di vario genere tra cui romanzi, racconti, poesie, biografie ed opere teatrali.
Un intellettuale brillante ed arguto, fine umorista, amante della verità, acuto osservatore della realtà con capacità di guardare oltre e di proiettarla nel futuro. Non faceva mistero della sua fede cattolica che lasciava entrare nella sua vita quotidiana ed intellettuale.    
Muore il 14 giugno 1936 a Beaconsfield, luogo dove si era trasferito con la moglie nel 1909.
Chesterton è sepolto nel cimitero cattolico di Beaconsfield, situato a fianco della Chiesa parrocchiale di Santa Teresa del Bambin Gesù, nel Buckinghamshire.
 
Papa Pio XI in un telegramma di condoglianze per la sua morte  scrisse che pregava e piangeva la morte di colui che definiva 'devoto figlio della Santa Chiesa, difensore (defensor fidei)ricco di doti della Fede Cattolica'.

 
« Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l'incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto »

martedì 26 maggio 2015

Una piccola goccia di vita che vive in Cielo

 
“Alla mia piccola goccia di vita”
 
Questo scritto nasce per te amore mio, per farti sapere che non sei stato dimenticato e che il tuo passaggio nella mia vita, seppur breve, non è stato inutile.
La tua mamma ti porta sempre con sé, in quello che ne rimane del suo cuore dilaniato dal dolore.
Tutto ha avuto inizio il 9 gennaio del 2012.
Quel giorno piccolo mio ho saputo che c’eri! L’ho saputo in un modo poco convenzionale, che per nulla si addice al momento magico che avrei dovuto vivere.
Quella stessa mattina avevo fatto le analisi del sangue; il tuo papà fu il primo a vedere i risultati e a farmi sapere l’esito con un messaggio che mi lasciò di sasso. “Ho visto le tue analisi, la BHCG è positiva, non ho parole”.
Sai piccolo mio, a volte basta davvero poco per distruggere tutto. A volte basta una parola per sentirsi morire dentro.
Quella giornata fu così densa di sentimenti contrastanti che mai più potrò dimenticarla fino a che avrò vita. A tratti mi sentivo forte, invincibile, come forse solo una mamma che deve proteggere il suo piccolo può sentirsi.
A tratti invece venivo assalita dalla disperazione più atroce, il tuo papà non ti voleva, non voleva nemmeno sentir parlare di te... la mia piccola goccia di vita.
È sempre stato freddamente distaccato. Non si è mai messo in discussione. Ti ha vissuto come uno sbaglio e come un grande peso. Piccolino mio, ti chiedo di perdonarlo come solo tu da vero angioletto saprai fare.
I giorni passavano inesorabili e il tuo papà l’unica cosa che sapeva dirmi era questa “ hai fissato il giorno per l’intervento? Maledetta tutta questa situazione!” al suono di quelle parole mi stringevo le mani alla pancia, come a volerti proteggere da tutto in un ultimo disperato tentativo.
Arrivò il giorno della prima visita amore mio a cui tuo papà non assistette.
Ero a 5 settimane esatte di gravidanza. Il medico mi disse che vista l’assenza dell’embrione nel sacco potevo sperare che la cosa si risolvesse da sola in tempi brevi. Certo, come se perderti spontaneamente potesse arrecarmi meno dolore!
I giorni iniziarono a scorrere velocemente, purtroppo, ed io cominciai ad amarti sempre di più, mia piccola goccia di vita.
Alla seconda visita, il solito ginecologo, appena mi vide, mi accolse dicendo:
“Vediamo se è cresciuto qualcosa”. Il mio cuore era combattuto...da una parte speravo fossi volato via da me, volevo evitarti ulteriori sofferenze. Dall’altra parte l’istinto materno dentro di me iniziava ad avanzare prepotente, ti volevo!
Mi fece l’ecografia ed esclamò: “ Eccome se è cresciuto qualcosa!”. Girò lo schermo verso di me e cosi per la prima volta ti vidi. Cinque centimetri di vita, di immenso amore. Eri un puntino luminoso che batteva
velocissimo. Non riuscii a dire nulla, lasciai scivolare sul viso una lacrima, forse la più amara in tutta questa storia.
Il medico mi fece anche ascoltare il battito del tuo cuore e mi disse che andava tutto bene.
Come un automa ribadii il mio consenso all’interruzione di gravidanza.
L’intervento venne fissato per il 14 febbraio. Beffardo il destino amore mio, vero? La data dedicata all’amore... La data che per me ha invece significato solo dolore e distruzione.
Il 14 febbraio mi alzai presto, con il viso rigato dalle lacrime. In ospedale mi accompagnò il mio ragazzo, sia per senso di colpa, sia per assicurarsi che ponessi fine realmente alla gravidanza.
Arrivata in ospedale trovai una decina di donne che come me avevano deciso di porre fine alla vita dei loro bambini. Alcune erano giovanissime, altre molto meno.
L’infermiera mi fece firmare il consenso per l’Ivg mi diede una candeletta vaginale per ammorbidire il collo dell’utero e facilitare quindi l’intervento. Mi disse il numero della stanza, che raggiunsi da sola. Sopra il letto trovai due assorbenti e il camicione da sala operatoria.
Dovetti quindi inserire l’ovulo e mettermi la camicia aperta sul di dietro. Il mio ragazzo era fuori, il regolamento del reparto non ammetteva nessuno fino alle 14 del pomeriggio. Arrivò anche la mia compagna di stanza, una signora al quarto aborto volontario.
Non scambiai nessuna parola se non un saluto. Pochi minuti dopo l’inserimento dell’ovulo iniziarono i dolori e lì capii, forse davvero per la prima volta, che ti stavo perdendo per sempre.
Non potevo più tornare indietro, ormai ti avrei perso comunque.
Arrivarono poi a prendermi con un lettino dalle lenzuola verdi per portarmi in sala operatoria. Ci salii senza dire una parola.
Passammo davanti al nido e vidi un neonato nell’incubatrice. Mi si strinse il cuore. Forse era un segnale per scappare lontano, per fuggire da tutto. Purtroppo non potei farlo, era troppo tardi.
Raggiunsi la sala pre-operatoria pochi secondi più tardi. Mi accolse in maniera asettica l’anestesista che mi fece qualche domanda di rito e mi prese una vena per l’intervento. L’infermiera intanto mi mise l’antibiotico attraverso la flebo. Da questo momento in poi ho pochissimi ricordi.
Mi fecero entrare con il lettino in sala operatoria e mi misero sul tavolo operatorio. Mi fecero aprire le gambe e le fermarono con una fascia di velcro. Mi collegarono al monitor per l’ECG e mi misero il saturimetro e il bracciale della pressione per i parametri vitali. Da qui in poi il buio più assoluto.
Mi risvegliai nella saletta attigua alla sala operatoria. Durante i primi minuti non riuscii a tenere gli occhi aperti, la testa mi girava tantissimo. Solo di una cosa ero già pienamente consapevole. Il mio bambino era morto per colpa mia pochi minuti prima. Non l’avrei mai stretto a me. Non avrei mai visto il suo viso. Queste pagine sono dedicate a te piccolo mio, perché tu possa continuare a vivere attraverso il mio amore, attraverso le mie parole. Non ti dimenticherò mai. Io sono e sarò sempre la tua mamma!
Se solo potessi tornare indietro ti terrei, lottando contro il mondo intero perché senza di te tutto ha perso senso. Non vedo più i colori, gli animali, i fiori. Tutto è morto quella maledetta mattina. Un giorno finalmente potrò riabbracciarti e piangere lacrime di gioia! Allora si che sarò felice.
Adesso so che sei con il mio papà, tuo nonno, che sicuramente ti adora. Almeno non siete soli, è la mia unica, magra, consolazione.
Gioca sereno nel cielo che tanto ho amato, piccolo mio, fallo per me.
Con amore.
La tua mamma

Una mamma straziata dal dolore per aver ucciso il suo bambino ancor prima di nascere.

giovedì 21 maggio 2015

Teofania dell' Amore nel dolore


Il lenzuolo della Sindone è, per tutti i credenti, una reliquia. Su di esso vi è misteriosamente impressa l’immagine di uomo che ha subito atroci sofferenze ed è stato crocifisso. Caratteristiche queste che presentano impressionanti analogie con quella che è la cronaca evangelica della crocifissione e della sepoltura di Gesù Cristo. Infatti, oltre a presentare le ferite su mani e piedi, l’uomo della Sindone deve aver subito oltre cento colpi di flagello, ed un colpo inferto al costato; a giudicare dalle ferite al capo indossava una corona di spine, era disidratato e non rimase più di quaranta ore avvolto in quel sudario.
Ad oggi nessuno sa dire con estrema certezza come si sia formata l’immagine della Sindone. In molti l'hanno analizzata e studiata,
formulando molte ipotesi, anche strampalate e poco scientifiche, ma una volta davanti alla Sindone si è riscontrata l’impossibilità di una spiegazione concreta.
 

Allo stato attuale, l’ipotesi che pare più accettabile, per spiegare la formazione dell’immagine della Sindone, è quella della radiazione ultravioletta (UV), emanata al momento della risurrezione di Gesù, la sola – ha spiegato il prof. Di Lazzaro dirigente presso il Centro Ricerche Enea di Frascati – in grado di colorare un tessuto di lino in modo similsindonico. Fermo restando, comunque, che un’immagine come quella della Sindone, specificano gli studiosi dell’Enea, rimane «ad oggi impossibile» da «ottenere in laboratorio». Di certo è provato che questo telo di lino abbia avvolto un uomo pieno di ferite e torturato; infatti sono realmente visibili tantissime ferite ed i test per la ricerca del sangue sono positivi.
 
 Il lino misura metri 4,4 x 1,13. E' un prodotto filato a mano e mostra le caratteristiche dei  tessuti antichissimi risalenti al I secolo d.C. Le ricerche hanno evidenziato la presenza di granuli di polline assenti in Europa e abbondanti nei sedimenti del Lago di Genezareth e del Mar Morto.
La Chiesa non si è mai pronunciata sull’autenticità della Sindone, tuttavia non possiamo non essere concordi sul fatto che questa misteriosa immagine, che è reale, altro non è che l'immagine di Gesù, che ha subito il martirio della passione ed il supplizio della crocifissione.
Nel Duomo della città di Torino (fino al 24 giugno) è in corso la solenne ostensione della Santa Reliquia. Inoltre merita una visita il Museo Diocesano per poter ammirare 'Il compianto sul Cristo morto' del Beato Angelico, qui esposto fino al 30 giugno.


http://www.museodiocesanotorino.it/
http://www.sindone.it/#band_it
http://www.sindone.org/santa_sindone/00023930_Santa_Sindone.html
qui la lettura multimediale del telo della Sindone

Consiglio, a tal proposito, un bellissimo articolo scritto dal Prof. Alessandro D'Avenia dal titolo brillante 'Il selfie di Dio' che si può leggere QUI sul suo blog PROF 2.0