La mia Terra di Mezzo

Tra un fonendo ed una tazza, scorre la mia Terra di Mezzo, il mio presente.....Le porte? Si possono aprire, spalancare sul mondo, ma si possono anche chiudere, per custodire preziosi silenzi e recondite preghiere....





post recenti

sabato 30 aprile 2016

Claritatis Laetitia /3

Nel caso in cui una persona commetta atti morali oggettivamente gravi in piena coscienza, sana di mente, con libera decisione, con l’intento di ripetere quest’atto in futuro, è impossibile applicare il principio della non-imputabilità della colpa a causa delle circostanze attenuanti.
 
L’applicazione del principio della non-imputabilità a queste coppie di divorziati-risposati rappresenterebbe una ipocrisia ed un sofisma gnostico.
 
Se la Chiesa ammettesse queste persone, anche in un solo caso, alla Santa Comunione, essa contraddirebbe ciò che professa nella dottrina, offrendo essa stessa una contro-testimonianza pubblica contro l’indissolubilità del matrimonio e contribuendo così alla crescita della “piaga del divorzio” (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 47).
Al fine di evitare una tale intollerabile e scandalosa contraddizione, la Chiesa, interpretando infallibilmente la verità Divina della legge morale e dell’indissolubilità del matrimonio, ha osservato immutabilmente per duemila anni la pratica di ammettere alla Santa Comunione solo quei divorziati che vivono in perfetta continenza e “remoto scandalo”, senza alcuna eccezione o privilegio particolare.

Il primo compito pastorale che il Signore ha affidato alla sua Chiesa è l’insegnamento, la dottrina (vedi Mt 28, 20). L’osservanza dei comandamenti di Dio è intrinsecamente connessa alla dottrina.

Per questa ragione la Chiesa ha sempre respinto la contraddizione fra la dottrina e la vita, qualificando una simile contraddizione come gnostica o come la teoria luterana eretica del “simul iustus et peccator”.

Tra la fede e la vita dei figli della Chiesa non dovrebbe esserci contraddizione.

Quando si tratta dell’osservanza del comandamento espresso di Dio e dell’indissolubilità del matrimonio, non si può parlare di interpretazioni teologiche opposte. Se Dio ha detto: “Non commetterai adulterio”, nessuna autorità umana potrebbe dire: “in qualche caso eccezionale o per un fine buono tu puoi commettere adulterio”.
(Mons. A.Schneider)
 
 

 

venerdì 29 aprile 2016

Claritatis Laetitia /2

Affermare che i divorziati risposati non sono pubblici peccatori significa simulare il falso. Inoltre, essere peccatori è la vera condizione di tutti i membri della Chiesa militante sulla terra. Se i divorziati-risposati dicono che i loro atti volontari e deliberati contro il sesto comandamento di Dio non sono affatto peccati o peccati gravi, essi s’ingannano e la verità non è in loro, come dice San Giovanni: “Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto, ci perdonerà i nostri peccati e ci purificherà da ogni iniquità. Se diciamo “Non abbiamo peccato”, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi” (1 Gv 1, 8-10).
L’accettazione da parte dei divorziati-risposati della verità che essi sono peccatori ed anche pubblici peccatori non toglie nulla alla loro speranza cristiana. Soltanto l’accettazione della realtà e della verità li rende capaci di intraprendere il cammino di una penitenza fruttuosa secondo le parole di Gesù Cristo.
L’Esortazione apostolica Familiaris Consortio insegna: ”Anche coloro che si sono allontanati dal comandamento del Signore e continuano a vivere in questa condizione (divorziati-risposati) potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità”(n. 84).

giovedì 28 aprile 2016

Governo italiano, vergognati!

Il Corriere della Sera propone un reportage di Federico Fubini da Briatico (Vibo Valentia) tra i richiedenti asilo mantenuti dallo Stato, dove è raccontato in maniera esemplare come l’Italia, rispetto all’emergenza immigrazione, «sta riproducendo le peggiori tare dell’assistenzialismo degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso».
Un «welfare che dà qualcosa in cambio di niente».
Il nostro sistema, denuncia Fubini elencando alcuni casi assai significativi, «distribuisce vitalizi e protezione senza pretendere dai beneficiari lo sforzo di imparare un mestiere, né le leggi o la lingua del Paese ospitante, o anche solo senza chiedere loro una mano a tenere pulita la strada comunale».
A Briatico l’inviato del Corriere ha raccolto la testimonianza di Fofana Samba, 19enne cittadino del Mali che «da quando è sbarcato senza documenti dalla Libia a Vibo Valentia nel giugno di due anni fa» vive in Italia da perfetto mantenuto. «Di solito si sveglia alle nove – scrive Fubini – e trascorre le sue giornate in modo semplice: “Manger, dormir, Facebook, un film”. Qualche volta, una partita di calcio. Tiene pulita la sua stanza? No: ci pensa la signora Antonella, la donna delle pulizie. Si prepara da mangiare? “No. Vedo il cibo quando è pronto. Io non cucino”». Come Fofana secondo il Corriere vivono «tanti altri ragazzi sub-sahariani assorti nei loro smartphone all’ombra dei pini dell’hotel sul mare che oggi li accoglie».
A differenza dei profughi siriani e iracheni di cui si è tanto parlato negli ultimi mesi, le persone incontrate da Fubini in Calabria in genere non arrivano da paesi in guerra e non sono vittime di persecuzioni, ma «tutti hanno presentato domanda d’asilo politico per guadagnare tempo e intanto restare qui». Giocano con «ricorsi e controricorsi» sfruttando «la lentezza della giustizia italiana». Lo stesso Fofana dice al Corriere: «Voglio essere un rifugiato» e per questo «ha presentato una serie di domande di asilo» tramite avvocato, pagandolo con il denaro che gli arriva dall’accoglienza italiana (100 euro a domanda, informa Fubini). Le pratiche, per la cronaca, sono state «tutte respinte fino al ricorso attuale, pendente da mesi», ma comunque nel frattempo «Fofana non ha mai fatto lo sforzo di imparare una parola d’italiano».
Preso da http://www.tempi.it

Il Governo italiano dovrebbe vergognarsi ma neanche Fofana Samba e compagni sono esentati!

mercoledì 27 aprile 2016

Veritatis Laetitia


Ormai da tempo, nella vita della Chiesa, si constata in alcuni luoghi, un tacito abuso nell’ammissione dei divorziati-risposati alla Santa Comunione, senza chiedere loro di vivere in perfetta continenza. Le affermazioni poco chiare nel capitolo VIII della 'Amoris Laetitia' hanno dato nuovo dinamismo ai propagatori dichiarati dell'ammissione, in singoli casi, dei divorziati-risposati alla Santa Comunione.
Una confusione nella disciplina sacramentale nei confronti dei divorziati-risposati, con le conseguenti implicazioni dottrinali, contraddirebbe la natura della Chiesa cattolica, così come è stata descritta da sant’Ireneo nel secondo secolo: « La Chiesa,  avendo ricevuto questa predicazione e questa fede, benché dispersa nel mondo intero la conserva con cura come abitando una sola casa; e allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e un solo cuore; e le proclama, insegna trasmette, con una voce unanime, come se avesse una sola bocca».
(Adversus haereses, I, 10, 2).
 
(Mons. A. Schneider, vescovo ausiliare di Astana)

martedì 26 aprile 2016

Claritatis Laetitia /1


L'esortazione apostolica di papa Francesco 'Amoris Laetitia' sul matrimonio e sulla famiglia, ha dato il via ad un dibattito all'interno e all'esterno della Chiesa Cattolica, focalizzando un unico scottante tema, cioè la comunione ai divorziati-risposati. La confusione è tanta e le interpretazioni aperturiste anche, facendo leva sul pensiero e le parole dei cardinali Kasper e Schönborn, le cui posizioni hanno avuto ampia visibilità ed eco soprattutto nel periodo di entrambi i Sinodi sulla famiglia.
Il Vescovo ausiliare di Astana Mons. A. Schneider, una voce autorevole fuori dal coro, ci ricorda, in un'intervista,  la Dottrina e la Parola di Gesù in merito al matrimonio, al divorzio e ad un nuovo matrimonio che la Chiesa non può riconoscere, a meno che il precedente matrimonio, contratto in chiesa, non sia stato dichiarato nullo:
Professando la dottrina di sempre di Nostro Signore Gesù Cristo, la Chiesa ci insegna: “Fedele al Signore, la Chiesa non può riconoscere come Matrimonio l’unione dei divorziati risposati civilmente. “Colui che ripudia la moglie per sposarne un’altra commette adulterio contro di lei. Se una donna ripudia il marito per sposarne un altro, commette adulterio” (dal Vangelo di Marco, cap.10, vv. 11-12).
Nei loro confronti, la Chiesa attua un’attenta sollecitudine, invitandoli ad una vita di fede, alla preghiera, alle opere di carità e all’educazione cristiana dei figli. Ma essi non possono ricevere l’assoluzione sacramentale, né accedere alla Comunione eucaristica, né esercitare certe responsabilità ecclesiali, finché perdura la loro situazione, che oggettivamente contrasta con la legge di Dio”.(Compendio di 'Catechismo della Chiesa Cattolica', 349).

venerdì 22 aprile 2016

Mens sana (?) in corpore perverso

Mario Mieli, fondatore e ideologo del movimento omosessualista italiano. Proveniente da una famiglia benestante, dopo aver abbracciato la dottrina marxista ed aver, in un primo momento, aderito a “Lotta Continua”, nel 1971, rientrato in Italia da un’esperienza londinese dove era entrato in contatto con il Gay Liberation Front, sarà tra i fondatori del “Fuori!” (Fronte Unitario Omosessuali Rivoluzionari Italiani), la prima espressione organizzata del movimento omosessualista in Italia.
Teorico di una rivoluzione gay in chiave marxista Mieli, il cui motto di battaglia parlava chiaro, “Lotta dura, Contronatura!“ proponeva l’emancipazione dell’uomo tramite la “prassi” sessuale contronatura o “perversa”, da lui sintetizzata in un altro suo celebre slogan “Mens sana in corpore perverso“.
 
Secondo Mario Mieli gli uomini nascono “naturalmente” con un’innata tendenza polimorfa e “perversa”, caratterizzata da una «pluralità delle tendenze dell’Eros e da l’ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo». Da qui discende che ogni persona sarebbe potenzialmente transessuale se non fosse influenzata, fin dall’infanzia, dalla società eteronormativa che obbliga l’individuo a considerare l’eterosessualità come “normalità” e tutto il resto come perversione. Un processo che Mieli chiama “educastrazione”, attraverso cui la società agisce repressivamente sui bambini «allo scopo di costringerli a rimuovere le tendenze sessuali congenite che essa giudica perverse».I tradizionali valori familiari naturali e cristiani costituiscono un ostacolo per la realizzazione di tale rivoluzione sociale e vengono, dunque, liquidati da Mieli come “pregiudizi di certa canaglia reazionaria” che, trasmessi con l’educazione, hanno la colpa di “trasformare il bambino in adulto eterosessuale“. Coerentemente con il suo pensiero, l’ideologo omosessualista si espresse esplicitamente anche in materia di sessualità infantile, diventando uno dei teorici della pedofilia e della relazione omosessualità-pedofilia. Anche i bambini possono infatti, secondo Mieli, “liberarsi” dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro “perversità poliforme” grazie ai pedofili, specie se omosessuali.
Mieli rivendica l’illimitato diritto di scelta dell’individuo, al di là di ogni principio morale, definendo positivamente la coprofagia, il sadismo, l'omicidio consenziente, in vista della creazione di una “società armonica” auspicata e teorizzata, nella quale tutti gli individui hanno il diritto a realizzare la propria insindacabile volontà, seguendo gli istinti e le passioni, libere da qualsiasi “freno” morale.
Nel 1983, dopo essersi dedicato nell’ultimo periodo all’esoterismo e alla magia, Mario Mieli, coerentemente con il proprio pensiero, si suicidò all’età di trent’anni nella sua abitazione di Milano. A lui è intitolato il “Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli“, sorto a Roma nello stesso anno della sua morte, tutt’oggi in prima linea nel promuovere e diffondere le sue folli e perverse teorie nella nostra società.
L'intero articolo lo si può leggere QUI

giovedì 21 aprile 2016

Così parla un Papa /2


 Cristo apertamente affermò: «Chiunque rimanda la moglie e ne sposa un’altra, è adultero; e chi sposa la rimandata dal suo marito, è adultero»[67]. E queste parole di Cristo riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto naturale e legittimo, giacché ad ogni vero matrimonio spetta quella indissolubilità, per la quale esso è sottratto, quanto alla soluzione del vincolo, all’arbitrio delle parti e ad ogni potestà laicale.
E qui deve pur essere ricordato il solenne giudizio con il quale il Concilio Tridentino condannò tali insanie di anatema: «Chiunque dice che il vincolo del matrimonio può essere sciolto dal coniuge, a causa di eresia o di molesta coabitazione o di pretesa assenza, sia anatema» [68]; e inoltre «Chiunque dice che la Chiesa erra quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina evangelica ed apostolica, non può essere disciolto il vincolo del matrimonio per l’adulterio di uno dei coniugi, e che nessuno dei due, neanche l’innocente che non diede motivo all’adulterio, può contrarre altro matrimonio, vivente l’altro coniuge, e che commette adulterio tanto colui il quale, ripudiata l’adultera, sposa un’altra, quanto colei che, abbandonato il marito, ne sposa un altro, sia anatema»[69].
 
(Sua Santità Papa Pio XI - Enciclica 'Casti Connubii')
 
L'intero testo dell'Enciclica qui

martedì 19 aprile 2016

Un anniversario mesto

 
Il 19 aprile dell'anno 2005 saliva al Soglio Pontificio il Card. Joseph Aloisius Ratzinger, che prese il nome di Papa Benedetto XVI. Il mio ricordo si volge a lui in modo deferente ed affettuoso. Non posso non nascondere la profonda amarezza che continua a pervadere il mio cuore nel saperlo ormai lontano dalla guida della Chiesa come Alter Christi. La tristezza non si attenua e le domande non trovano risposta! La sua rinuncia è  e resterà per me incomprensibile. Ha donato alla Chiesa un corpus magisteriale solido, profetico e soprattutto chiaro, ancorato al Vangelo, alla Tradizione ed al Depositum Fidei.
 

Non possiamo dimenticarlo, in special modo oggi, dove regnano confusione ed apostasia e la barca di Pietro sta rischiando di affondare.

(21 aprile 2016) Era l’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI annunciò al mondo la volontà di rinunciare al ministero petrino. Dopo quasi otto anni di pontificato, rese pubblica la sua decisione con tono pacato e parole nate da una riflessione che abbiamo immaginata densa di pensieri e turbamenti. E qualche giorno dopo, incontrando i parroci di Roma per il tradizionale appuntamento di inizio Quaresima, Joseph Ratzinger parlò ufficialmente della sua volontà di rimanere lontano dalle luci dei riflettori, una volta sceso dal soglio di Pietro, da lì a poco, il 28 febbraio.
Lo disse con queste parole: «Anche se mi ritiro adesso in preghiera, sono sempre vicino a voi e sono sicuro che anche voi sarete vicino a me, anche se per il mondo rimango nascosto».
Da allora, è così.

Fenomenologia dell’assenza
Il Papa emerito Joseph Ratzinger, nato il 16 aprile 1927, vive nel Monastero Mater Ecclesiae, in Vaticano, ed è apparso in pubblico solo in alcune occasioni, su invito di Papa Francesco (l’ultima volta, all’apertura della Porta Santa di San Pietro, per il Giubileo della Misericordia).
Eppure, oggi, la potenza delle sue parole è forte. Il suo ritiro monastico e la sua presenza nell’assenza scenica, una “presenza-assenza”, diventano un fertile campo che fa germogliare e coltiva l’analisi della sua opera, della sua produzione teologica e del suo ministero. La sua lontananza dagli occhi del mondo mette in atto una volontà di comprensione e di riconsiderazione del suo pensiero e della sua stessa figura. Questa si esprime attraverso una grande ricchezza di iniziative. Tra le più recenti, si contano la nascita della Biblioteca a lui dedicata, nel Collegio Teutonico, nel cuore del Vaticano, le molte pubblicazioni che approfondiscono le sue opere e il suo pontificato, un master che analizza la sua dottrina, i tanti incontri di studio nazionali e internazionali.
Per definire la fenomenologia della “presenza-assenza” del Papa emerito, bisogna partire dalla Biblioteca Romana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI che, inaugurata nel mese di novembre 2015, ospita già oltre mille volumi, tradotti in 37 lingue.
La vastità dell’opera teologica e spirituale di Ratzinger, che ha scritto 102 libri, ben 98 prima di essere eletto pontefice, e oltre 600 articoli, può trovare attraverso la Biblioteca Romana, che porta il suo nome, nuove strade di conoscenza e comprensione. Nuovi percorsi, non solo per studiosi e teologi, in grado di portare la sua riflessione verso chi, pur intuendone la grandezza, la osserva da lontano.

Quel luogo dove si cura l’anima
Eppure, nelle sue opere, Ratzinger ha saputo parlare al cuore dell’uomo. «Ha affrontato con sapienza e semplicità temi come la felicità e l’amore umano», sottolinea Pietro Luca Azzaro, curatore della Biblioteca dedicata a Ratzinger, traduttore dal tedesco dell’opera omnia del Papa emerito e docente di Storia dell’Europa all’Università Cattolica di Milano.
La Biblioteca è nata per essere un luogo vivo, un centro generativo, non un museo o un deposito di libri. Questo pensiero è stato sapientemente illuminato dal cardinale Gianfranco Ravasi nella Lectio che ha tenuto per l’inaugurazione della Biblioteca dedicata a Ratzinger (contributo che è stato raccolto nel libretto pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana con il titolo Dalla Bibbia alla Biblioteca - Benedetto XVI e la cultura della Parola). Ravasi ha raccontato dello storico Ecateo che dalla Grecia va in Egitto e visita il Ramesseum, il mausoleo di Ramesse II, il faraone che aveva «occupato con la sua storia quasi tutto il XIII secolo a. C.». Qui, su un portale, Ecateo scopre una scritta e la traduce così: “luogo di cura dell’anima”. «Che cos’era mai questa “clinica dello spirito”? La risposta Ecateo l’ebbe quando vi penetrò: era la Biblioteca sacra di Ramesse», ha spiegato Ravasi.
In questo senso la Biblioteca Romana, raccogliendo il pensiero teologico di Ratzinger, che non nasce da una speculazione meramente intellettuale, ma mette in relazione l’uomo con Dio, si presenta come luogo di conoscenza, di vicinanza e di cura dell’animo umano. Un luogo dove nascono domande, un luogo dove si trovano risposte, varcando la soglia.
L'intero testo da leggere qui www.fondazioneratzinger.va/  

Amoris confusio

 
«Non avendo ottenuto che gli uomini mettano in pratica quello che insegna, la Chiesa di oggi si è rassegnata a insegnare quello che(gli uomini) mettono in pratica»
Nicolás Gómez Dávila

giovedì 14 aprile 2016

Così parla un Papa!

All’occhio illuminato dalla fede, come allo sguardo di ogni onesto, cui suffraga la coscienza naturale non offuscata da pregiudizi e da traviamenti, mentre sfolgora nella sua indefettibile chiarezza quella legge che incoraggia al bene e storna dal male, che precede e sovrasta tutti i codici della terra ed è una in tutti i popoli e in tutte le età, che è norma di ogni azione umana e base di ogni civile consorzio (cfr. Cic. De legibus 1. 2 c. 4); a quell’occhio non può sfuggire lo spettacolo miserando di un mondo in disfacimento per la rovina, in esso operata, delle fondamentali strutture morali della vita.
Alieni da ogni ingiustificato pessimismo, che contrasta con la stessa speranza cristiana, figli anzi del nostro tempo, non legati da irragionevoli nostalgie di età che furono, Noi non possiamo tuttavia non rilevare la crescente marea di colpe private e pubbliche, che tenta di sommergere le anime nel fango e di sovvertire tutti i sani ordinamenti sociali.
Primo e più grave stigma è la consapevolezza, che rende inescusabile l’oltraggio alla legge divina.
 
Una serie di spudorate e criminali pubblicazioni apprestano ai vizi e ai delitti i mezzi più obbrobriosi di seduzione e di traviamento. Velando l’ignominia e la bruttezza del male sotto l’orpello della estetica, dell’arte, della effimera ed ingannevole grazia, del falso coraggio; ovvero accondiscendendo senza ritegno alla morbosa avidità di sensazioni violente e di nuove esperienze di dissolutezza; l’esaltazione del malcostume è giunta fino ad uscire palesemente in pubblico e ad inserirsi nel ritmo della vita economica e sociale del popolo, facendo oggetto d’industria lucrosa le piaghe più dolorose, le più miserevoli debolezze dell’umanità.
 
Persino alle più basse manifestazioni di questo scadimento morale si osa talvolta cercare una giustificazione teorica, appellandosi ad un umanesimo di dubbia lega o ad una commiserazione, che indulge alla colpa per ingannare e traviare più facilmente le anime.

Falso umanesimo e commiserazione anticristiana, che finiscono con sovvertire la gerarchia dei valori morali e con attenuare a tal punto il senso del peccato da coonestarlo, presentandolo come normale espansione delle facoltà dell’uomo e quasi arricchimento della propria personalità.

È reato di lesa società la cittadinanza data al delitto col pretesto di umanitarismo o di tolleranza civile, di naturale defettibilità umana, quando tutto si lascia correre o peggio si mette in opera per eccitare scientemente le passioni, per allentare ogni freno che promana da un elementare rispetto della pubblica moralità o dal pubblico decoro, per raffigurare coi colori più seducenti l’infrazione del vincolo coniugale, la ribellione alle pubbliche autorità, il suicidio o la soppressione della vita altrui.

Ed ora misurate, se vi regge l’occhio e lo spirito, con l’umiltà di chi forse deve riconoscersene in parte responsabile, il numero, la gravità, la frequenza dei peccati nel mondo.
Opera propria dell’uomo, il peccato ammorba la terra e deturpa come macchia immonda l’opera di Dio.

Pensate alle innumerevoli colpe private e pubbliche, nascoste e palesi; ai peccati contro Dio e la sua Chiesa; contro se stessi, nell’anima e nel corpo; contro il prossimo, particolarmente contro le più umili e indifese creature; ai peccati infine contro la famiglia e la umana società.

Alcuni di essi sono tanto inauditi ed efferati, che sono occorse nuove parole per indicarli. Pesate la loro gravità: di quelli commessi per mera leggerezza e di quelli scientemente premeditati e freddamente perpetrati, di quelli che rovinano una sola vita o che invece si moltiplicano in catene d’iniquità fino a divenire scelleratezze di secoli o delitti contro intere nazioni.

Confrontate, alla luce penetrante della fede, questo immenso cumulo di bassezze e di viltà con la fulgida santità di Dio, con la nobiltà del fine per cui l’uomo è stato creato, con gl’ideali cristiani, per cui il Redentore ha patito dolori e morte; e poi dite se la divina giustizia possa ancora tollerare tale deformazione della sua immagine e dei suoi disegni, tanto abuso dei suoi doni, tanto disprezzo della sua volontà, e soprattutto tanto ludibrio del sangue innocente del suo Figliuolo.

Vicario di quel Gesù, che ha versato fin l’ultima goccia del suo sangue per riconciliare gli uomini col Padre celeste, Capo visibile di quella Chiesa che è il suo Corpo mistico per la salvezza e la santificazione delle anime, Noi vi esortiamo a sentimenti e ad opere di penitenza, affinchè si compia da voi e da tutti i Nostri figli e figlie sparsi per il mondo intero il primo passo verso la effettiva riabilitazione morale della umanità.

Con tutto l’ardore del Nostro cuore paterno vi domandiamo il sincero pentimento delle colpe passate, la piena detestazione del peccato, il fermo proposito di ravvedimento; vi scongiuriamo di assicurarvi il perdono divino mediante il sacramento della confessione e il testamento di amore del Redentore divino; vi supplichiamo infine di alleggerire il debito delle pene temporali dovute alle vostre colpe con le multiformi opere di soddisfazione: preghiere, elemosine, digiuni, mortificazioni, di cui offre facile opportunità ed invito il volgente Anno Santo.

(Pio XII, Anno Santo 1950)

mercoledì 13 aprile 2016

Mammaliturchi! Un pò di storia


La Jihad, sono stati i musulmani a iniziarla, già nel VII sec d.C, vivente ancora Maometto. All'inizio essa partì con la conquista dell’Arabia, ancora in gran parte pagana e poi continuò con Gerusalemme e i Luoghi Santi. In seguito la guerra si estese a tutta la Cristianità sia d'Oriente che d'Occidente.
Ad Oriente l’Impero Romano impiegherà i suoi ultimi secoli di vita combattendo e spegnendosi contro i musulmani; ad Occidente la Jihad travolse per sempre tutta la Cristianità d’Africa, poi si spostò in Spagna ed in Francia (Poitiers, 732).
Dopodiché i musulmani assalirono e occuparono la Sicilia, le grandi isole del Mediterraneo, e, nei secoli successivi, invasero varie zone dell’Italia, della Francia e perfino della Svizzera. Montecassino venne distrutta, Roma assalita e le basiliche costantiniane di San Paolo e san Pietro date al fuoco.
Un'enclave perenne di guerrieri musulmani stava a Castelvolturno, un’altra nella Sabina e Roma, che viveva sotto continuo attacco, rischiò di cadere preda dell’Islam venendo salvata proprio dalla ripetuta azione militare di vari pontefici.
 
Per secoli l’Europa mediterranea ha subito le scorrerie dei pirati barbareschi (“mammaliturchi”, la celebre battuta del dialetto romano, nasceva da un tragico grido di terrore ripetuto chissà quante volte nel corso dei secoli): uomini uccisi, donne violate e portate negli harem, bambini rapiti e venduti come schiavi.
 
Per secoli i pellegrini in Terra Santa vennero massacrati, soprattutto con l’arrivo dei turchi selgiuchidi. E, se con la fine della crociate si era giunti a una forma di “convivenza” armata con il mondo arabo, tutto precipitò di nuovo – e in maniera ancor più radicale – con l’arrivo dei turchi ottomani, che conquistarono ciò che rimaneva dell’Impero Bizantino nel XV secolo e da allora, fino agli inizi del XVIII secolo, puntarono a più riprese sull’Europa, conquistando gran parte dei Balcani, assediando Vienna per ben due volte, conquistando Cipro, Rodi, e portando l’assedio a Malta (dove vennero respinti dall’eroismo dei Cavalieri, guidati da Jean de la Vallette).
Nel corso dei secoli, di mille anni (dal VII al XVIII secolo), quante cristiani vennero assassinati? Quante donne violate e deportate negli harem? Quante città distrutte, vite spezzate, anime costrette all’abiura religiosa? Chi potrà mai farne il conto? Chi potrà mai calcolare l’immenso dolore di questi mille anni di violenze ed odio musulmani?
 

martedì 12 aprile 2016

La virtù dell' intolleranza

 
Tolleranza: di solito, oggi, si dà a questa parola un senso elogiativo. Quando diciamo che qualcuno è “tollerante”, affermiamo implicitamente che è una persona di grande anima, cuore generoso, larghe vedute, disinteressata, comprensiva, simpatica, giudiziosa, benevola e via dicendo. Al contrario, il qualificativo di “intollerante” porta con sé una lunga scia di rimproveri: spirito grezzo, temperamento bilioso, malevolo, incline alla diffidenza, odioso, vendicativo, pieno di risentimento, ecc.
 
In realtà, nulla di più unilaterale. Infatti, se vi sono casi in cui la tolleranza può essere un bene, vi sono altri casi in cui è un male. E può costituire perfino un crimine. Quindi, nessuno merita plauso per il fatto di essere metodicamente tollerante, oppure intollerante, bensì per essere l’uno o l’altro secondo le circostanze.
Il problema, quindi, si sposta. Non si tratta di sapere se dobbiamo essere tolleranti o intolleranti, come norma. Si tratta, piuttosto, di chiederci quando dobbiamo essere l’uno o l’altro. Innanzitutto, va notato che vi è una situazione in cui il cattolico deve essere sempre intollerante. E questa regola non ammette eccezioni. È quando, o per compiacere qualcuno o per evitare un male maggiore, gli si chiede di commettere un peccato. Ogni peccato è un’offesa a Dio. Ed è assurdo pensare che vi siano situazioni in cui Dio possa essere virtuosamente offeso. Così, ad esempio, con il pretesto di riscuotere la loro simpatia, nessuno ha il diritto di essere tollerante nei confronti di amici che vestono in modo immorale, hanno una vita dissoluta, vantano atteggiamenti licenziosi o frivoli, difendono idee temerarie o sbagliate e via dicendo. Un altro esempio: un cattolico ha un dovere di lealtà nei confronti della filosofia scolastica. Non gli è lecito, con il pretesto di attirare la simpatia di un determinato ambiente, professare un’altra filosofia. È una forma di tolleranza inammissibile. Pecca contro la verità chi professa un sistema di pensiero nel quale sa che vi sono errori, anche se non sono direttamente contro la Fede.
In tali casi, i doveri dell’intolleranza vanno oltre. Non è sufficiente astenersi dal fare il male. Non bisogna mai approvarlo, sia per azioni sia per omissioni.
Un cattolico che, di fronte al peccato o all’errore, assume un atteggiamento di simpatia o di indifferenza, pecca contro la virtù dell’intolleranza. Questo succede, per esempio, quando assiste con un sorriso, senza restrizioni, a una conversazione o una scena immorale, o quando, in una discussione, riconosce che l’altro ha il diritto di professare qualsiasi punto di vista in tema di religione. Questo non è rispettare l’avversario, bensì acconsentire ai suoi errori e suoi peccati. Qui si sta approvando il male. E questo non è mai lecito per un cattolico.
(Plinio Corrêa de Oliveira)
Tratto da qui
 
 
 
 
 
 
 
 

 

giovedì 7 aprile 2016

Coincidenze sante

 
La coincidenza tra l'Annunciazione di Nostro Signore ed il Venerdì Santo è un avvenimento che nella vita reale non ha ancora esaurito la sua mistica importanza. L'avvenimento, non così frequente sul calendario della storia, è di notevole importanza a tal punto da trovare un santuario, quello di Notre-Dame du Puy, a Le Puy en Velay (Francia), dove viene appunto celebrata questa insolita coincidenza, dell’Annunciazione e del Venerdì Santo. Coincidenza che in Italia, ad Andria, a Bari e a San Giovanni Bianco ha fatto gemmare le Sacre Spine di Nostro Signore Gesù Cristo custodite in un reliquiario. Ne ho già scritto qui.
Il Santuario in questione si trova all'origine di due apparizioni della Vergine Maria sul Monte Anis, a distanza di due secoli l'una dall'altra, a due donne malate che vennero guarite. Da una piccola cappella sorse, nel corso dei secoli, il Santuario. In esso quest’anno si celebra il XXXI Giubileo de «Le Grand Pardon de Notre-Dame du Puy»; il primo venne istituito da Papa Giovanni XVI nel 992, al fine di onorare la Madre di Dio e celebrare la misericordia di Dio incarnato che, con la sua passione e morte, ha redento il genere umano dal peccato. Dunque ancora una volta Incarnazione e Redenzione sono unite: dalla carne e dal sangue della Madre e del Figlio, dal 'sì' della Madre e dal 'sì' del Figlio. L'accondiscendenza del Figlio passa attraverso quello della Madre. Madre e Figlio, uniti nell'Incarnazione e nella Passione.
 
Due interessanti particolari da sottolineare:
1) Questo giubileo di Le Puy coinciderà con il 300° anniversario della morte di san Louis-Marie Grignon de Montfort, apostolo della devozione mariana e legato da grande devozione alla Cattedrale di Le Puy.
2) La preghiera della «Salve Regina» fu composta dal vescovo di Le Puy, Ademar de Monteil e venne cantata per la prima volta proprio in questa Cattedrale il 15 agosto 1096, nei giorni in cui partiva la prima Crociata.

venerdì 1 aprile 2016

IO-SONO - YHWH - INRI


Nel Vangelo di Giovanni al capitolo 19 dal versetto 16 in poi viene descritta la crocifissione di Gesù con la relativa affissione sulla croce dell'iscrizione che il Governatore Ponzio Pilato aveva fatto incidere in latino, ebraico e greco. Seguitando a leggere il brano, viene descritta la rimostranza dei capi dei sacerdoti verso Pilato che aveva ordinato di scrivere 'Il Re dei Giudei' e non come loro avrebbero voluto che scrivesse 'Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei'. Ci si chiede perché questa lamentela?  Che differenza c'è tra le due asserzioni?
 
L’iscrizione di cui parla Giovanni è la famosa sigla “INRI“ un acronimo, che sta per il latino “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum“, che significa “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei“.
In ebraico l'iscrizione era questa: “Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim”. Le iniziali delle quattro parole ebraiche che compongono la scritta sono: yod-he-waw-he e dato che l'ebraico si legge da destra verso sinistra si legge il famoso tetragramma che gli ebrei non possono neanche pronunciare: “YHWH“, che vocalizzato risulta essere “Yahweh“, il nome di Dio che Egli stesso aveva rivelato a Mosè in Esodo 20,2: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto”.
Quindi, come per il latino si ottiene l’acronimo “INRI“, per l’ebraico si ottiene “YHWH“.
 
Ecco perché gli Ebrei che leggevano tale scritta fossero così turbati tanto da chiederne la modifica a Pilato: vedevano l’uomo che avevano messo a morte, che aveva affermato di essere il Figlio di Dio, con il nome di Dio, il tetragramma impronunciabile, inciso sopra la testa.
 
In quel momento credo che tutti avranno capito le parole di Gesù: 'Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono'. (Giovanni 8,28).
Io-Sono: proprio lo stesso nome che Dio ha rivelato a Mosè in Esodo 3,14: Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»“.